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venerdì 12 febbraio 2016

Emigrazione, formarsi e andar via

Articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud 11/02/2016


Scarsa meritocrazia, sfiducia nei metodi di valutazione, poche e mal gestite risorse, servizi inesistenti: questi sono solo alcuni dei motivi che spingono i giovani talenti ad andar via. Ogni persona è unica al mondo poiché ha un modo unico di vivere esperienze, acquisire competenze, mettere in luce capacità e passioni. L’insieme di tutto ciò è definito “capitale umano” e, in parole semplici, rappresenta l’energia e la possibilità di compiere azioni positive nella società in cui si vive. Cosenza, come il resto del sud si spopola: «se ripenso alla mia classe delle superiori – racconta Emanuela Capobianco, laureata in scienze letterarie – e mi guardo intorno oggi mi sento una sopravvissuta. Avevamo deciso in tanti di iscriverci all’Unical, ci sembrava di non aver niente da invidiare a nessuno: noi di Cosenza andavamo all’università nella nostra città. Ma non era così. Già tra triennale e specialistica molti hanno deciso di andar via. Capisco i miei compagni: non tutti sono votati al sacrificio, non tutti dopo tanti studi e tante rinunce possono votarsi al volontariato perenne, all’impossibilità di aspirare a qualcosa di più. Adesso siamo rimasti solo in 3 o 4 a vivere qui, da 24 che eravamo in classe, e noi sopravvissuti ci domandiamo se ciò che meritiamo non sia davvero altrove». La fuga dei cervelli è una realtà che impoverisce il territorio, eppure sembra l’unica possibilità di dare una svolta alla propria vita e dare un senso agli anni di studio: «reputo assolutamente fisiologico il bisogno di emigrare per poter esprimere le proprie capacità, in una società che maggiormente valuta secondo metodo meritocratico – a parlare così Alessio Paciello, laureato in chimica – ogni giorno tutto il sistema appare fortemente compromesso, dai concorsi alla ricerca, che dovrebbe essere il fiore all’occhiello di una qualsiasi nazione che si reputi civile». Ci sono anche altre esperienze che, nel pessimismo generale, sembrano dare una ventata di speranza: «ho frequentato lo scientifico di Cosenza, eravamo una classe di 26 persone e solo una ragazza ha deciso di iscriversi all’università fuori – racconta Luca Meringolo – non so a distanza di tempo se rifarebbero la stessa scelta o se hanno maturato l’idea di andare via. Io ritengo che la fuga dei cervelli sia il risultato di un Paese vecchio e incapace di aprirsi ai giovani. In noi giovani si crede poco e non solo a livello locale: non veniamo ritenuti idonei al lavoro neanche dopo la laurea!». C’è anche chi si sofferma a pensare alle possibili soluzioni: «la fuga dei cervelli è il segnale chiaro ed inequivocabile che il territorio non sia stato in grado di mettere in cantiere proposte concrete per trattenere le migliori energie per la crescita e lo sviluppo! – dice Eugenio Greco, impiegato - assistiamo passivamente a uno svuotamento culturale delle nostre zone e per invertire il trend uno degli strumenti potrebbe essere sfruttare al massimo l'agenda Europea dei Fondi Comunitari 2014/2020. Si dovrebbero presentare progetti concreti a proposito di ambiente, trasporti, infrastrutture per migliorare le cose». C'è chi, come Battista Liserre, porta, poi, la sua esperienza dopo aver lasciato la Calabria ed essersi trasformato in un cervello in fuga: «Ho lasciato Cosenza nel 2012 per fare un dottorato di ricerca . All'Unical vi erano pochissimi posti. Le mie speranze erano minime. Quindi ho tentato la mia "chance" all'estero . Ora sto finendo  la mia tesi in letteratura italiana dal titolo: “Politica e letteratura a Firenze nel XIV secolo: gli Orti Oricellari” diretta da Theà Picquet all’Università d’Aix-Marseille e da Donatella Coppini all’Università degli Studi. Sono membro del laboratorio CAER. Oltre al dottorato, insegno italiano come contrattista all’Università d’AIX-Marseille. Cosa impossibile in Italia per un giovane di 32 anni. Il mio Paese ha investito in me per farmi studiare, formarmi. Ma poi mi ha scaricato. Nella nostra penisola manca un collegamento tra il mondo universitario e quello del lavoro. C’è uno spreco enorme del capitale umano. Il 30% dei giovani si forma in Italia, ma poi va all’estero per lavorare. Ho l’impressione che l’Italia stia diventando un Paese per vecchi. Manca una riforma delle pensione per dare spazio a noi giovani. Vivendo all’estero mi rendo conto che siamo un Paese vecchio, dove non c’è posto per le giovani generazioni. Le migliori menti italiane si trovano quasi tutte all’estero. Per esempio, il giovane filosofo siciliano Oreste Salamone è il primo al mondo che sta studiando il Papiro di Derveni. Ma per fare questo si è trasferito in Francia, poiché nelle università italiane non c’erano posti liberi».

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