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1) Codex  (Roberto Salvidio) 
2) La mamma dei Carabinieri  (Alessio Puleo e Filippo Vitale)
3)Un mondo senza povertà (Mohammad Yunus) 
4) Sotto Racket, tutti gli incubi del testimone  (Saverio Paletta)
5) Il sognatore di Algoritmi (Giulia Fresca)
6) Cristalli di parole (Torto O.G.)





Codex
di Bruna Larosa



Alla ricerca della chiave per leggere il manoscritto Voynich un’alunna e un docente finiscono per essere inseguiti da agenti, Fbi e non ben identificati figuri, cornice della vicenda un paesino americano in cui tutto ha inizio e, poi, una Cosenza inedita, ricca di simbologie e misteri. Filo conduttore della storia una considerazione che è anche un po’ un timore: se alla base dei miracoli ci fosse la scienza, come cambierebbe il mondo? È questa la domanda che rimane nella mente di chi ha appena finito di leggere Codex, un romanzo dall’intreccio pungente, scritto da Roberto Salvidio. Una storia con effetti speciali che riesce a sorprendere e a regalare un nuovo fascino interpretativo alla cultura ermetica degli alchimisti. La protagonista, che non a caso si chiama Mary, e i due accompagnatori che si susseguono nella storia, Daniel e Andrea, si trovano a vivere allo stesso tempo diverse dimensioni: la contemporaneità, fatta di fughe mozzafiato e i diversi scenari tra leggenda e realtà in cui devono calarsi per interpretare e risolvere il mistero. La narrazione finirà per ricongiungere i fili di diversi periodi storici fino a diventare un tutt’uno unitario che combina il passato al presente svelando la verità; una verità che il mondo non sarebbe in grado di gestire, probabilmente da nessun punto di vista. Cosa ne sarebbe, infatti, della dottrina della Chiesa Cattolica se ne venisse snaturato il senso mistico delle inspiegabili guarigioni ad opera di Gesù e dei tanti Santi? Non esisterebbe più il “prodigio” capace di piegare le menti delle persone comuni e tenere sotto scacco la scienza, ma una semplice ricetta fatta di elementi comuni, in grado non solo di guarire e medicare un malato, ma ancor più efficace nel  togliere ogni parvenza di sacralità al mistero della resurrezione. Per di più cosa succederebbe se un rimedio tanto prodigioso finisse nelle mani di persone senza scrupoli? Interrogativi che affascinano il lettore e fanno arrovellare i personaggi che, loro malgrado, sono sulla strada della conoscenza. Certamente non trascurabile lo scenario paesaggistico scelto: se in un primo momento ci troviamo in un’università americana man mano che il mistero si va svelando cresce la necessità di giungere in Italia perché la chiave di tutto si trova tra la sonnacchiosa Cosenza e la mite Cattolica di Stilo. Le puntuali descrizioni architettoniche, il ricorso a frasi latine, il recupero di storie e leggende rende il romanzo avvincente e realistico, così pure le fragilità della giovane protagonista, mai banale nelle sue emozioni, e degli uomini che l’accompagneranno in questa avventura in tempi diversi, preziosi compagni di fuga, di ricerca e di vita. Corso Telesio e il Duomo diventano teatro di una delle parti più movimentate della vicenda stuzzicando l’immaginazione e l’attenzione di chi ha la fortuna di conoscere le bellezze del centro storico cosentino che ben si è prestato al sofisticato intreccio su cui è costruita tutta la storia.



Pubblicata sul n. 21 di Mezzoeuro in edicola dal 27/05/2011







La mamma dei carabinieri
di Bruna Larosa



Quella riportata da Alessio Puleo e Filippo Vitale non è una semplice storia d’amore, ma la descrizione di una relazione che, schiacciata dalla realtà, continua a vivere. Parliamo del libro intitolato ‘La Mamma dei Carabinieri’ in cui, inserita in una cornice moderna, è racchiusa una storia dolce e amara, che commuove e fa riflettere su come i pregiudizi e i costumi possano incidere e cambiare la vita. Quello di Domenica Lupo, protagonista della vicenda, è un amore iniziato con uno sguardo, proseguito con grande compostezza e riguardo nei confronti delle tradizioni e mai finito, nonostante le circostanze abbiano portato lei e il suo amato a separarsi. Dirimpettaia della casa del giudice Borsellino, si prende cura con affetto sincero dei ragazzi in divisa che ivi stazionano. Prima di essere un’anziana signora, Mimma, è stata una giovane di Palermo dalle umili origini, ma bella, educata e rispettosa. In un tempo che si spera ormai trascorso dappertutto, ella si è trovata a dover accettare come marito l’uomo che, bramoso della sua bellezza, l’aveva rapita, nonostante fosse la fidanzata di un carabiniere. Dalla vicenda emergono molteplici risvolti sociologici che danno l’opportunità di riflettere su come il pregiudizio e le credenze popolari possano incidere sulla nostra vita ancora oggi, senza magari accorgercene. Fa rabbrividire il complicato intreccio di pregiudizio, paura e violenza che portava le ragazze vittime di ‘rapimenti’ da parte di spavaldi giovani, convinti che la donna fosse una proprietà, ad accettare di sposare i loro stessi aguzzini per salvare sé e la propria famiglia dalla vergogna di non essere più pure. L’onore e il dolore di intessono quando l’idillio del fidanzamento tanto desiderato si rompe e Mimma deve decidere cosa fare della sua vita. Disonorata dal rapimento di cui è stata vittima, chiusa in un convento, lì in quella frazione di Palermo, sente su di se tutto il peso del mondo. In questa vicenda, realmente accaduta, il pregiudizio si maschera di fatalità e lei assorbita ed educata alle consuetudini della ristretta società in cui vive, accetta il compromesso che tante altre donne hanno accettato. La sua vita cambia radicalmente, si trova accanto un uomo invischiato nel male affare e violento da cui ha un figlio che accresce ulteriormente i suoi grattacapi e finisce con lo svanire nel nulla. La vita sa essere crudele, ma gli uomini con i loro pregiudizi riescono a renderla ancor più aspra. La morte naturale del marito la libera quando è ormai anziana e il mondo è già cambiato; Mimma non ha più nessuno e continua a vivere nella vecchia casa diroccata in cui è stata ragazza e sposa infelice. In quel degrado esistenziale in cui l’unica strada è la deriva scopre di essere destinataria di un’importante eredità e cambia le sue condizioni di vita. Non c’è rabbia, ne’ risentimento, solo la rassegnazione di chi ha fatto ciò che doveva nonostante tutto e la delicatezza di un sentimento che c’è stato e non finirà mai di esistere.



Pubblicata su Mezzoeuro n. 16 del 23 aprile 2011




Un mondo senza povertà
di Bruna Larosa

Il premio Nobel per la pace Muhammad Yunus scrive ‘Un mondo senza povertà’ proponendo una nuova dimensione attraverso cui osservare il nostro tempo. Bengalese di nascita, si laurea in economia ed ha un’intuizione geniale: prestare denaro ai poveri, dare fiducia alle persone che non possono riceverne dalle comuni banche. ‘Il banchiere dei poveri’, così viene definito, e fa un po’ sorridere questa affermazione, abituati come siamo ad un mondo capitalistico che si impone in ogni aspetto della nostra vita e sul nostro modo di pensare.
Yunus persegue e realizza un’idea che in apparenza sembra impopolare: prestare ai poveri del denaro, senza interessi, con la semplice promessa della restituzione. Conosce la sua gente, la voglia di riscatto che si vive nei ‘piani bassi del Pianeta’ ed è disposto a fare la prova di tasca sua. La possibilità di riuscita del suo progetto risiede principalmente in un fattore culturale non determinato dalla ricchezza o meno. La sua Banca, la Grameed Bank (Banca del Villaggio), si è ingrandita in tutto il Paese, il suo progetto funziona ed ottimisticamente l’atipico banchiere afferma che ‘un giorno si andrà nei musei per vedere cosa sia stata la povertà’. Il meccanismo che sta alla base di tutto è molto semplice e si basa sulla fiducia e sul rispetto reciproco: vengono formati gruppi di  cinque persone (l’ordine interno del gruppo è deciso dai richiedenti stessi), il credito viene concesso al ‘numero uno’, non appena questi lo restituirà sarà concesso il credito al ‘numero due’ e così via. Yunus parla di ‘solidarietà come responsabilità’: se uno dei cinque spezza la catena anche i progetti degli altri naufragheranno. Il credito della Grameed Bank è rosa: quasi la totalità dei crediti viene erogata a donne, poiché, queste vivendo all’interno della casa, vicine alle difficoltà di tutti i giorni hanno una idea più chiara dei bisogni del nucleo familiare. Non bisogna certo dimenticare che la maggior parte delle attività di sostentamento di una famiglia soprattutto quelle più umili sono svolte proprio dalla componente femminile. Dal 1976 anno in cui la prima Grameer Bank vide la luce sono stati erogati crediti per più di cinque miliardi di dollari, con una percentuale di restituzione altissima per un Paese, Bangladesh, in cui le Banche ‘normali’ si ritengono fortunate se arrivano al recpero del 10% di quanto dato.


Un risultato stupefacente, tanto che la Grameer Bank è diventata un punto di riferimento anche per la Banca Mondiale. Ad un banchiere che, sbigottito, gli chiedeva come avesse fatto a intuire il modo in cui raggiungere quei risultati Yunus ha semplicemente risposto che il povero ha più paura della legge rispetto all’uomo comune, che non restituisce perché in fondo sa dove trovare un cavillo e come manipolare la situazione. Il povero non cerca il credito per arricchirsi, ma per vivere dignitosamente e risollevarsi dalla povertà. È il caso di un gruppo di donne del villaggio di Jobra che costruivano artigianalmente sgabelli di bambù, ma erano costrette a vendere i manufatti a coloro che gli fornivano la materia prima, senza il minimo guadagno. Un circolo vizioso che trasformava delle lavoratrici in vittime facili e obbligate di chi voleva speculare, facendole vivere nella povertà e nell’indigenza nonostante il lavoro. Questo è solo uno dei casi, non un caso isolato, così offrire del denaro a persone come loro ha spezzato una catena ed ha trasformato un circolo vizioso in un circolo virtuoso.        
Un’idea che sembrava bizzarra ed azzardata si è rivelata essere uno studio oculato ed importante per tante Regioni del nostro mondo. Alla luce di ciò è possibile rispondere ‘si’ alla provocatoria domanda ‘si può sconfiggere la povertà?’, domanda ormai retorica che rimbalza da una parte all’altra del globo e alla quale di prima istanza si risponderebbe con un desolato ‘no’.



Pubblicato sul sito http://www.hot-news.it/




Sotto Racket, tutti gli incubi del testimone
di Bruna Larosa


La mafia non è mai un argomento ‘semplice’ e, infatti quello che Saverio Paletta propone è un lavoro scrupoloso e attento fin nei minimi dettagli. Fulcro del libro la vicenda di Alfio Cariati, Testimone di Giustizia, un ‘semplice’ cittadino che, venuto a contatto con delle realtà di dubbia legalità, decide di parlare.




Gli atti mafiosi non godono del beneficio della legge, ma in talune realtà hanno il consenso tacito di chi passivamente vi assiste e vi convive, quindi non denuncia. Centrale per la vicenda di Alfio la normativa nella quale sono presenti le definizioni di pentito, collaboratore di giustizia e il testimone. Come collaboratore di giustizia si definisce una persona che ha commesso dei crimini e che ad un certo punto, decide di collaborare con la giustizia. Il testimone è, invece, un libero cittadino che assiste ad un fatto di rilievo e decide di riportare quanto ha visto in una sede legale.




Testimoniare dovrebbe essere la normalità, soprattutto quando si è vittime di atti intimidatori e persecutori, tuttavia tale pratica, schivata da molti e giudicata negativamente da altri, viene considerata un’eccezione. La testimonianza del sig. Cariati è di quelle importanti e pesanti, grazie alle sue parole il processo Omnia prende la giusta piega contro gli imputati, nonostante ciò egli, piuttosto che testimone viene classificato come collaboratore di giustizia acquisendo il diritto alla ‘protezione’. Eppure il sig. Alfio non ci sta, non vuole essere considerato ‘pentito’, ma semplicemente ciò che è: un cittadino che ha testimoniato contro l’operato della mafia. Inizia una nuova battaglia che dura ancora oggi: farsi riconoscere testimone e al tempo stesso, poiché tale, aver diritto alla protezione da parte dello Stato.




Il ritmo incalzante e obiettivo con cui viene affrontata la vicenda esplica con chiarezza e dovizia di sfumature il paradosso in cui il testimone Alfio si è trovato; la descrizione della vicenda è arricchita dalla smaliziata penna del sapiente giornalista che ha fatto del suo lavoro la ricerca di una verità ancora in divenire.
Pubblicata sulla versione on-line di Fatti al cubo



Il Sognatore di Algoritmi, recensione
di Bruna Larosa


Si riderà dei nostri ricordi in digitale in un futuro prossimo? Laurie e Désirée non sanno ancora cosa le aspetta quando nel 2035 apriranno un vecchio cd-rom che porta una scritta importante e ingombrante: Il diario di Jodie F.. Un antefatto sofisticato per il Sognatore di Algoritmi che è un insieme di elettromissive della nostra contemporaneità. È il contenuto del cd la storia principale del romanzo. Vengono digitate, senza aspettative eccessive, delle parole in un browser. Una lista di risultati e, poi, da un’altra parte arriva un messaggio: ‘chi sei veramente?’. Così inizia una calda e coinvolgente storia che è il risultato di quella complessa analisi che i computer svolgono con freddo calcolo. Il passo per la confidenza è breve dopo le prime e-mail; quasi che quelle anime, lontane ma affini, riconoscessero l’una nell’altra la necessità di stringersi e stare un po’ vicine. Proprio rispondendo a questo desiderio i protagonisti, che nel mondo virtuale si trovano davanti la possibilità di recitare un personaggio, scelgono di essere se stessi. La solitudine alienante del mondo che, con i suoi eventi e le sue ricorrenze, segna il passaggio dei mesi e dei giorni, viene interiorizzata dalle riflessioni di chi lo osserva e descrive per lavoro, Jodie. Mentre dall’altra parte c’è chi è intento ad osservare lei, con curioso affetto, Antoñejo. È facile rivelarsi on-line: al di là di uno schermo la dolcezza non è debolezza, si può fermare la realtà e analizzarla meglio; nel medesimo modo la fragilità diviene riflessione, quindi forza e le idee si trasformano in progetti. Il filone narrativo ha delle pause necessarie, il tempo tra una e-mail e l’altra scandisce le giornate e le informazioni, le impressioni e gli umori dell’uno e dell’altra. Parallelo alle disquisizioni sulla vita di tutti i giorni il progetto di scrivere un libro loro, la storia di questo incontro a quattro mani. Intanto l’altro diventa il necessario rifugio, il punto di riferimento, l’oasi di ristoro nel deserto, mentre nella mente cominciano a prendere forma un volto, degli occhi, l’inflessione di una voce. Il febbrile rincorrersi di informazioni ed emozioni, però, subisce a un certo punto un rallentamento non voluto. Una malattia inghiotte Antoñejo, i suoi sogni, la sua vitalità mentre Jodie, con la forza che solo le donne sanno tirar fuori dal cuore, gli sta accanto, lo sprona, lo sorregge idealmente. Sono le e-mail di lei che chiudono il libro e un suo racconto. Jodie ha una consapevolezza in più, ella sente che, grazie ad un complicato meccanismo elettronico, ha sfiorato l’Amore vero inebriandolo di soffi e soffi di baci. Ancora nell’ultima e-mail ‘il bacio’; il bacio di saluto che ha in sé l’amarezza della lontananza, il desiderio dell’affinità e la dolcezza dell’appartenersi… Nonostante tutto. Laurie e Dèsirèe si guardano negli occhi: la stessa emozione e forse il medesimo nascosto desiderio di provare anch’esse una brezza d’eternità, cullate nel tenero abbraccio dell’Amore vero.


 

Cristalli di Parole
di Bruna Larosa
Un’intermittenza di luci e ombre che ci investono, come flash che cambiano continuamente angolazione per catturare immagini diverse, ma complementari. Frasi asciutte, essenziali e forse proprio per questo ancor più efficaci. Torto dà un pennello ai suoi lettori e una enorme tela per dipingere le sue frasi; che non sono fatte di semplici parole ma di sensazioni concrete, talvolta così forti da lasciare l’amaro in bocca, altre volte talmente grottesche da divertire... L’autore le chiama Brevi Storie e proprio nella brevità la chiave di tutto: il concetto viene scolpito, associato ad un’immagine precisa e lasciato cristallizzare nell’aria solo un attimo, prima di passare alla frase successiva. Non c’è spazio per l’evocazione, ma una forte, tangibile consapevolezza che ci da’ presto la sensazione di essere entrati in una dimensione differente… Chi, oggi, non fa parte della generazione sballottata tra il ‘bamboccione’ e il ‘drittone’? Alzi la mano chi si è sempre sentito al proprio posto! Intanto però, chi non si sente deriso per i propri sogni, mentre tutto intorno cade a rotoli? Non c’è politica e non c’è inganno, tantomeno si tratta di assistere inermi allo sciacallaggio del nostro futuro. Le Brevi Storie sono delle istantanee, o meglio, dei cristalli che sospesi in aria si scompongono contro luce in colori, ma appena cadono al suolo si infrangono e possono ferire. Dalla teoria il paradosso è scivolato nella realtà e Torto lo cattura in climax ascendenti, regalandoci sfumature agrodolci di ordinaria follia.





Da leggere assolutamente:          http://torto45.wordpress.com/