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mercoledì 4 maggio 2011

Steli di pietra per il fiore antico della fede


di Bruna Larosa

La chiesetta di San Marco sboccia dalla roccia che la circonda e regala un profumo d’eternità alla piccola perla di Rossano Calabro. La cittadina che sorge sul versante Jonico della provincia di Cosenza, racchiude in sé due anime: quella antica, di origine romana, ricca di palazzi e chiese suggestive e quella nuova, denominata Rossano Scalo, caratterizzata da eleganti quartieri alla moda. Il peso culturale e architettonico della cittadina è dato dalle innumerevoli strutture di origine bizantina, le stesse che le sono valse l’appellativo di ‘Ravenna del Sud’.


L’edificio più antico che vi si può ammirare è, proprio, la chiesetta di San Marco, uno degli esempi di arte bizantina meglio conservato su tutto il territorio italiano. Ad onor del vero risulta più corretto non definire l’edificio ‘semplicemente’ bizantino, poiché non si tratta di uno stile puro, tanto che risulta più esatto parlare di una commistione di tecniche che giustifica e offre un valore aggiunto alla già indiscussa unicità dell’edificio. La struttura presenta delle caratteristiche tipiche di Costantinopoli, orientaleggianti dunque e lontane da quelle presenti nell’Italia Meridionale. La copertura, particolarissima, è costituita da quatto cupole che coronano una più grande centrale, mentre la base dell’edificio è costruita secondo i criteri dettati dalla pianta a croce greca. Eppure non è la struttura originale quella che ci è pervenuta e che oggi è possibile visitare, poiché ad essa è stato successivamente aggiunto un vestibolo, che però ben si è raccordato all’edificio pre-esistente. La tradizione vorrebbe che la costruzione della chiesetta sia ricondotta al desiderio di Euprassio, giudice d’Italia e di Calabria, che riconosceva l’utilità di fornire ai monaci delle grotte di tufo sottostanti, uno spazio per l’oratorio.


L’edificio dedicato a San Marco è spesso ricollegato alla più rinomata e conosciuta Basilica di San Marco a Venezia, della quale possiede l’incantevole suggestione, trasportandola nella nostra terra di Calabria. Non si smetterebbe mai di ammirare la facciata della Chiesetta di San Marco, essa sembra nascere dalla roccia, un’illusione possibile grazie ai tre absidi semicircolari costruiti con sassi, calce e intonaco, senza alcuna aggiunta di colore sulla superficie. È all’interno della chiesa che la sovrapposizione degli stili romanico e bizantino si esplicita con intensità. La struttura interna, priva di riferimenti decorativi, quali ad esempio potrebbero essere dei capitelli e la conseguente dilatazione delle masse, non lascia campo all’osservatore che si trova in un ambiente delimitato da severi pilastri quadrati che fungono da base agli archi sovrastati dalle cupole.


Una costruzione interna siffatta non consente di spaziare con lo sguardo d’intorno provocando un’accentuazione delle masse tipica della tecnica romanica presente in Occidente. Originariamente doveva esservi una decorazione pittorica molto vasta che, probabilmente, ricopriva completamente le mura e doveva raffigurare un intero ciclo di immagini e situazioni. Ciò viene supposto poiché, nell’abside è rimasto un unico stralcio della raffigurazione che presumibilmente doveva avvolgere tutte le pareti. L’affresco, tipicamente bizantino, che ci è pervenuto, è una raffigurazione dell’immagine della Madonna con Bambino, appartenente al XIII secolo. L’intonaco bianco successivamente apposto sui muri ha soffocato il resto degli affreschi che dovevano raccordarsi all’unico che si può ammirare, dotato di straordinaria grazia e bellezza. Dai restauri effettuati sono anche emersi piccoli resti scultorei, in particolare la mensa d’altare, decorata con motivi geometrici. È certo viva la consapevolezza che l’originaria bellezza della chiesetta di San Marco sia stata deturpata dagli alterni abbandoni che l’hanno resa vittima dell’incuria del tempo. Nonostante ciò rimane intatto il fascino della struttura che rivela il potenziale di un’opera d’arte da salvaguardare e valorizzare per il futuro.




Pubblicato su Klichè n. 31

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