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domenica 1 febbraio 2015

Il giardino segreto

di Bruna Larosa

C'era una volta un bambino bellissimo che viveva amato e coccolato con la sua mamma e il suo papà. Ben presto cominciò ad andare in un posto chiamato scuola dell'infanzia, dove conobbe molti altri bambini. Tutte anime belle. A ciascuno di loro il buon Dio aveva affidato un giardino, dicendo a ognuno: "questo giardino è la rappresentazione della tua anima, meglio ti comporterai più i fiori saranno belli e rigogliosi. Vedi, alla fine del tuo giardino c'è una parete fatta di muro e una fontana proprio appoggiata al confine alimenta tutte le tue piante". Il bambino bellissimo era molto buono e generoso e invitava sempre tutti gli amichetti e le amichette ad ammirare il suo giardino. L'indole generosa l'aveva ereditata dalla mamma e la tenacia dal papà. Non aveva paura di essere felice e i fiori del suo giardino prosperavano perché era assai buono e onesto con tutti. Crescendo, il bambino divenne ragazzo e si accorse che non tutte le persone che arrivavano nel suo giardino rispettavano i suoi fiori e quindi la sua felicità. Non voleva smettere di essere generoso e buono, era felice di se stesso, ma rimaneva sempre male vedendo che gli altri, quelli con cui era cresciuto e avevano avuto lo stesso dono avevano cominciato a guardare con invidia i suoi bei fiori e non lo invitavano più nei loro giardini. Lui pazientava, diceva tra sé e sé: sono onesto e aiuto gli altri, perché dovrebbero farmi del male? Nonostante ciò si rese conto che ogni volta che qualcuno andava a trovarlo gli veniva rubacchiata una pianta da una parte, un petalo dall'altra, alcuni buttavano addirittura cartacce!! Quello che era stato un bambino bellissimo era ormai un ragazzo e, consapevole di voler conservare al meglio quel giardino che il buon Dio gli aveva donato, cominciò a dividere il suo giardino con delle piccole recinzioni. La parte più esterna poteva ospitare tutti, dopo il primo cancello entravano solo alcuni, dopo il secondo solo la mamma, il papà e le persone speciali. Un giorno quello che era stato un bambino bellissimo si svegliò ormai uomo. Curava meno il suo giardino: anche delle persone speciali avevano danneggiato le sue piante più belle, poste nel terzo recinto. Non voleva smettere di essere se stesso, ma crescendo aveva conosciuto l'invidia, il dispiacere, il dolore, la solitudine. Aveva visto persone che considerava specialissime andare via e magari spezzare anche qualche ramo lì, nel posto più segreto del suo cuore, vicino alla fontana. Sfiduciato andava in giro col sorriso, ma dentro si sentiva solo, a peggiorare la situazione del giardino il fatto che la fontana dava sempre meno acqua, come se la sorgente che le dava vita si fosse prosciugata. Si ritrovò così in un bar fumoso mentre non sapeva bene che direzione dare alla sua esistenza e lì cominciò quasi per caso a confidarsi del male che aveva nel cuore con una sconosciuta. Guardandola pensava che anche lei doveva essere stata una bambina bellissima e che anche lei doveva avere un bellissimo giardino, ma non osava chiederle nulla, raccontava solo il suo male. La sconosciuta era una donna triste, aveva anche lei ricevuto in dono il suo giardino, lo aveva curato, aveva invitato i suoi amici, ma poi, crescendo, anche lei aveva dovuto mettere dei filtri perché aveva capito che non tutte le persone meritano di vedere in interezza l'anima di un'altra. La sfiducia verso il prossimo era stata talmente alta che pensava al giardino, ma non vi andava più e per lei era molto strano e molto difficile da capire il motivo per cui l'uomo che aveva davanti le raccontasse il male che aveva dentro. Pensò fosse un uomo strano, che non fosse davvero interessato a lei e pensò che aveva fatto bene a rinchiudere i suoi fiori tra mura altissime. L'uomo voleva vederla ancora, lui era buono, e aveva conservato l'ingenuità di quando era un bambino bellissimo, quindi non poteva rendersi conto che raccontare i suoi dolori potesse far male alla donna che aveva davanti. La donna continuò ad ascoltarlo finché non promise a se stessa che lei avrebbe fatto tornare a sognare quello che era stato un bambino bellissimo e che ora era un uomo deluso. Si presero per mano e descrissero l'uno all'altra i muri con cui avevano recintato le loro anime. C'era un vecchio amore scottante, ma passato e un amore passato ma ancora vivo. C'era la paura di fallire, la paura di deludere. C'era il bene verso i genitori che avevano insegnato loro a essere il meglio che potevano. C'erano gli amici che avevano tradito. Le bugie a fin di bene. C'era tutto ciò che pesa sull'anima e che non sempre si può evitare di portare con sé. Il primo ad aprire il cancello del suo giardino fu l'uomo. Guardandosi intorno la donna vide che l'erba era giallognola, le piante secche, qualche ramo spezzato, caduto dalle piante e lasciato lì. L'uomo non si mostrò imbarazzato, ma impotente e parlò dei fasti del suo giardino, prima che l'invidia prendesse possesso delle persone intorno a lui. Attraversato il secondo cancello la situazione era migliore. Lì arrivavano le persone che rispettavano l'anima dell'uomo e non volevano nuocergli, solo che non gli volevano abbastanza bene per far qualcosa per lui e superare il velo dell'indifferenza. Questo giardino sembrava intatto, ma molto triste: solo piante sempreverdi, neanche un fiore. Attraversato il terzo cancello vi fu un'esplosione di colori: era il posto degli amici, dei parenti, il posto delle persone che vogliono bene e gioiscono per le gioie che hai. Quanti colori, quanti profumi, quanti giochi con cui divertirsi. Proprio vicino all'ultimo cancello c'erano la mamma e il papà di quello che era stato il bambino bellissimo. Poi un recinto ancora. La donna, che era stata una bambina bellissima, si fermò qualche passo prima. Non si sentiva pronta ancora ad attraversare l'ultima soglia. A violare il cuore dell'uomo, lei sola. Così lo prese per mano e ripassarono attraverso i tre recinti. Era a metà tra la paura e lo sconforto e una pioggia leggera le bagnava i capelli e il viso. Guardò l'uomo che era stato un bambino bellissimo e pensò che di lui poteva fidarsi. Pensò che aveva amato e sofferto tanto e pensò che aveva promesso a se stessa che l'avrebbe reso felice. Così, sempre per mano, fecero una passeggiata, un giro lunghissimo. E l'uomo si trovò così davanti al cancello che dava accesso al giardino di lei. Sulle mura che lo cingevano c'erano la vanità, la boria, la noia, la pigrizia e la solitudine. L'uomo si disse che non gli importava: erano cose che erano fuori: poteva sembrare così. Lui si sentiva pronto a sapere cosa ci fosse dentro. La donna aprì con titubanza il giardino. Anche lei crescendo aveva costruito dei recinti per salvaguardare la cosa più preziosa. Il primo riquadro era morto e spoglio, peggiore di quello dell'uomo. Era però molto ordinato. Di un ordine triste e impenetrabile. Quel modo di fare che non lascia spazio per leggere tra le righe. Ciò aumentò nell'uomo l'attesa per gli altri spazi. La donna, tenendolo per mano e tremando dalla paura di risultare inadeguata per lui, lo portò davanti al secondo cancello. Varcata la soglia l'uomo vide che c'erano tantissime specie di uccelli variopinti e colorati. Era ciò che la donna destinava agli altri: una bellezza forse effimera, una felicità che forse non c'era. Era il posto dei "non preoccuparti", dei "non ci sono rimasta male". Era il posto dei "tutto bene". L'uomo pensò che la donna doveva essere molto triste e molto coraggiosa e capì che lui poteva fare qualcosa per lei, cosa che fino ad allora non aveva mai sospettato. Capì in quel momento che per tanto tempo lei lo aveva messo lì, in mezzo ai "va tutto bene" e che lui, non conoscendola fino in fondo, ci aveva pure creduto. Si sentì un po' in colpa e continuò a camminare, stringendole la mano più forte. Arrivati al penultimo cancello vide che dentro c'erano dei fiori bellissimi, delle altalene e degli aquiloni. Vide che c'erano dei piccoli giochi d'acqua e regnava una grande serenità. Capì che quello era un posto privato dedicato so lo a chi davvero la donna amava. Lì c'erano gli amici, lì i genitori. L'uomo la abbraccio con trasporto, ma non poteva evitare di sentire il suo cuore battere forte forte pensando che era davvero vicino al cuore di lei. E lì, infatti, ad alcuni passi da loro si alzava un alto cancello, costruito in modo da non poter vedere attraverso. L'uomo fremeva, ma era gentile ed educato e non voleva mettere fretta alla donna. Lei abbassò tutte le difese che aveva posto nella sua vita, decise di fidarsi di lui, e spinse via l'ultimo limite rimasto inviolato. La fontana che alimentava il giardino della donna era stupenda: zampilli e statue, giochi di colori e di luci, piante acquatiche e cristalli. C'era da rimanere abbagliati. L'uomo rimase estasiato, ma, invece di focalizzarsi su tanta magnificenza, fu colpito dal muro che delimitava il giardino che aveva appena visitato. Sotto lo sguardo incuriosito della donna cominciò a tirar via mattoni e più ne tirava via più era felice, talmente felice che la donna iniziò ad aiutarlo, senza saper bene cosa stava facendo. Poi, aperto il varco la donna capì quale era stata l'intuizione: esattamente al di là del muro c'era il giardino dell'uomo. Avevano fatto un giro lunghissimo, in fondo, avevano fatto il giro del mondo mano nella mano, praticamente. Crescendo e delimitando sempre più la loro anima dagli estranei fino alle persone sempre più fidate avevano creato un piccolo spazio, più interno di tutti che unito formava un cerchio perfetto. Quello sarebbe stato il loro giardino segreto. Genitori e amici avrebbero vegliato sulla loro felicità e i loro segreti. Gli indifferenti avrebbero ricevuto di sapere solo il minimo indispensabile e gli altri, gli estranei, non avrebbero avuto nulla. Il loro giardino segreto sarebbe stato inviolabile. Solo lì l'uomo e la donna potevano tornare ad essere il bambino e la bambina bellissimi che erano stati senza ricevere giudizi. Lì avrebbero potuto giocare ed essere felici per l'eternità, consapevoli che mai avrebbero dovuto mutare quello splendido equilibrio.      






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