Purtroppo c’è un paio di scarpe rosse in più da aggiungere a
quelle che sono state usate nelle principali città italiane per rappresentare
le vittime della violenza sulle donne. Scarpe del colore del sangue, rosse come
quelle indossate dalla gioiosa Alice nel suo paese delle meraviglie; eppure
quello calpestato da queste donne, venute al mondo e strappate allo stesso con
tanta brutalità, non è certo un luogo da fiaba.
È il gelido stupore della morte quello che secca la bocca e lascia
senza fiato per la brutalità e l’efferatezza del gesto che ha coinvolto due
giovanissimi della provincia di Cosenza.
Ancora una volta riflettori si accendono su occhi che si
chiudono, il dubbio sorge con lancinante lucidità: questa emergenza si
trasformerà, nostro malgrado, in brutale normalità? Sta forse già accadendo?
In questi giorni si parla di quest’altra donna uccisa, lei, poco
più che bambina, nei tanti titoli che si rincorrono.
Oggi ha un nome, un volto,
un sorriso, lo sguardo di chi guarda al futuro. Domani, Fabiana, sarà solo un
numero? Nessun ombrello può riparare dalla gelida pioggia che ha avvolto
ciascuno di noi davanti alla shockante vicenda; nessun volo può portare
abbastanza lontani dal dolore di una famiglia che in questo momento non vede
alcuna luce; nessun urlo può svuotare l’animo dalla sofferenza cieca e
lancinante.
Noi, narratori e spettatori di un mondo da sempre troppo
sbagliato, possiamo rimanere sgomenti e, poi, indignarci.
Che questa indignazione sia il motore che possa portarci a
parlare con i nostri compagni, con i nostri fratelli, con i nostri figli, che
possa dare alle donne la dignità di dire la loro, di chiudere una relazione se
non la ritengono più positiva. Che possa far capire all’uomo che l’amore non si
possiede e che la morte non lo sigilla, che la vita è un valore e che è giusto
continui anche dopo che una relazione finisce.
Non c’è gelosia che possa giustificare un solo schiaffo, tantomeno un tradimento che possa render giusto un omicidio.
Ph. Internet
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